Quando ci troviamo di fronte al banco dei salumi, spesso veniamo attratti da confezioni che promettono “senza glutine”, “senza lattosio”, “100% carne italiana” o addirittura “ricetta tradizionale genuina”. La mortadella, in particolare, è diventata negli ultimi anni terreno fertile per dichiarazioni che fanno leva sul desiderio dei consumatori di acquistare prodotti più salutari e naturali. Ma cosa si nasconde davvero dietro questi claim accattivanti? La realtà potrebbe riservare qualche sorpresa.
Il gioco delle parole che confonde il consumatore
Le etichette sulla mortadella utilizzano spesso un linguaggio studiato per creare un’impressione di naturalità e leggerezza che non sempre corrisponde al contenuto reale del prodotto. Un claim come “senza glutine” può sembrare un plus salutistico, quando in realtà la mortadella tradizionale non contiene glutine per sua natura, essendo a base di carne suina macinata senza cereali. Si tratta di evidenziare l’ovvio per dare un’impressione di maggiore attenzione alla salute, senza però modificare sostanzialmente la composizione del prodotto.
Ancora più ingannevole è l’uso di termini come “ricetta della nonna” o “come una volta”, che evocano immagini di genuinità artigianale. La mortadella moderna, invece, è un prodotto industriale che richiede l’utilizzo di additivi specifici per garantire conservazione, colore e consistenza durante la distribuzione e la vendita.
Gli additivi invisibili dietro l’apparenza di semplicitÃ
Leggere attentamente l’elenco degli ingredienti rivela una verità ben diversa dall’immagine bucolica evocata dal packaging. La mortadella contiene regolarmente nitrati e nitriti, indicati con le sigle E250 (nitrito di sodio), E251 (nitrato di sodio) o E252 (nitrato di potassio), utilizzati come conservanti e per mantenere il caratteristico colore rosa. Questi composti, pur essendo legali e utilizzati entro limiti stabiliti dalla normativa europea, sono oggetto di discussione nella comunità scientifica per i possibili effetti sulla salute quando consumati regolarmente e in quantità elevate.
Oltre ai conservanti, troviamo frequentemente antiossidanti come l’acido ascorbico (E300) o l’ascorbato di sodio (E301), esaltatori di sapidità come il glutammato monosodico (E621) in alcune varianti, stabilizzanti e addensanti come il tripolifosfato di sodio (E451) per migliorare la texture, e aromi spesso indicati genericamente senza specificare la loro origine.
Il paradosso del “senza”: quando l’assenza diventa marketing
Un fenomeno particolarmente diffuso è quello dei claim negativi: “senza polifosfati”, “senza glutammato”, “senza lattosio”. Queste dichiarazioni creano nel consumatore l’impressione di trovarsi di fronte a un prodotto più pulito e salutare. La strategia è sottile: attirando l’attenzione su ciò che non c’è, si distoglie lo sguardo da ciò che invece è presente in abbondanza.
Una mortadella può essere priva di polifosfati ma contenere comunque una percentuale di grassi superiore al 25-30% e una quantità di sale che supera i 2 grammi per 100 grammi di prodotto. Per contestualizzare, l’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di non superare i 5 grammi di sale al giorno per adulti: tre o quattro fette di mortadella (circa 50-60g) possono rappresentare già metà dell’apporto giornaliero consigliato.
Leggerezza apparente: quando i numeri raccontano un’altra storia
Alcune confezioni propongono versioni definite “leggere” o “con meno grassi”. Analizzando i valori nutrizionali, si scopre che spesso la riduzione del contenuto lipidico è minima, passando ad esempio dal 28% al 22%. Si tratta tecnicamente di una riduzione, ma il prodotto rimane comunque ad alto contenuto di grassi secondo i parametri nutrizionali europei, che definiscono tale un alimento oltre i 20 grammi per 100 grammi di prodotto.

Il problema non è solo quantitativo ma anche qualitativo. I grassi della mortadella includono una quota significativa di grassi saturi (tipicamente 8-12g/100g), quelli che le linee guida nutrizionali suggeriscono di limitare al 10% delle calorie totali giornaliere per ridurre il rischio cardiovascolare. Questa informazione raramente viene evidenziata con la stessa enfasi riservata ai claim positivi sulla confezione.
Come difendersi: gli strumenti a disposizione del consumatore consapevole
La prima arma di difesa è sviluppare l’abitudine di leggere sistematicamente la tabella nutrizionale e l’elenco degli ingredienti, anziché fermarsi ai messaggi promozionali in bella vista sul fronte della confezione. Gli ingredienti sono elencati in ordine decrescente di peso: se tra i primi compaiono grassi, sale o additivi, questo dice molto sulla composizione reale del prodotto.
I segnali d’allarme da non ignorare
Alcuni elementi dovrebbero far scattare un campanello d’allarme nel consumatore informato:
- Claim generici come “naturale” o “genuino” senza specificazioni concrete
- Enfasi eccessiva su un singolo aspetto positivo che distrae dall’insieme
- Percentuali di carne non chiaramente indicate o formulate in modo ambiguo
- Liste di ingredienti troppo lunghe per un prodotto che dovrebbe essere semplice
- Presenza di diciture come “carne separata meccanicamente” che indica l’utilizzo di scarti
La questione della percentuale di carne: un altro terreno scivoloso
Alcuni produttori enfatizzano l’alta percentuale di carne, dichiarando cifre che possono raggiungere il 90% o più. Quello che spesso non viene chiarito è che questa percentuale include non solo il muscolo pregiato, ma anche tessuto connettivo, grasso e parti meno nobili. La normativa europea permette questa aggregazione nella dichiarazione di “carne”, ma il consumatore medio immagina una qualità superiore rispetto a quella effettivamente presente.
La mortadella di qualità superiore dovrebbe indicare chiaramente la presenza di cubetti di grasso, tipicamente lardelli, visibili nel prodotto finito. Quando invece il grasso è finemente tritato e omogeneizzato nell’impasto, spesso si tratta di parti meno pregiate recuperate attraverso lavorazioni meccaniche intensive.
Informarsi per scegliere meglio
La mortadella non è né un alimento da demonizzare né un prodotto leggero e naturale come certe confezioni vorrebbero farci credere. Si tratta di un salume processato, gustoso ma ricco di grassi, sale e additivi, da consumare occasionalmente all’interno di una dieta bilanciata. Il problema nasce quando il marketing crea aspettative irrealistiche sulla sua salubrità .
Ogni volta che acquistiamo un prodotto, esercitiamo un potere: quello di premiare la trasparenza oppure di sostenere strategie comunicative poco chiare. Imparare a decodificare le etichette e a distinguere le informazioni sostanziali dai messaggi promozionali rappresenta un investimento sulla propria salute e sulla capacità di fare scelte alimentari realmente consapevoli. La tutela del consumatore inizia proprio dalla conoscenza: più siamo informati, meno siamo vulnerabili alle strategie di marketing che giocano sulla confusione e sulle mezze verità .
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